sabato 20 aprile 2019

HUME E GLI ESITI SCETTICI DELL'EMPIRISMO

Lo scozzese David Hume, muovendo dalla prospettiva empirista, afferma che tutta la nostra conoscenza si basa su impressioni (percezioni vive e forti) e idee (immagini illanguidite delle impressioni), che il nostro intelletto unisce in configurazioni più ampie e complesse in virtù della memoria e dell'immaginazione. Quest'ultima non è totalmente libera, in quanto procede secondo il principio di associazione che, a sua volta, agisce sulla base di tre criteri: somiglianza, contiguità e causalità. La nostra mente è portata d questa <dolce forza> ad associare le idee che si presentano simili (ad esempio il ritratto e l'originale), o legate da un nesso causa effetto ( es. l'albero bruciato e il fuoco).
 Le idee che ne derivano sono idee complesse e in esse consiste tutto il nostro sapere. Quanto il grado di certezza di un sapere così costruito, Hume ritiene che, mentre nel caso dell'algebra e dell'aritmetica ( che riguardano relazione tra idee) si raggiungono verità assolutamente certe (perché costruite a priori), per quanto riguarda le conoscenze empiriche (che riguardano dati di fatto) dobbiamo ritenerle soltanto probabili. 
A partire da tali argomentazioni Hume procede a criticare il concetto di causa. Secondo lui la causalità non ha un valore oggettivo, ma è frutto della nostra abitudine (soggettiva) a collegare un fenomeno A (ad esempio, il fuoco) a un fenomeno B (la combustione). In realtà l'esperienza attesa soltanto la contiguità e successione di tali eventi, non la necessità del loro legame causale. Quest'ultimo è dunque da attribuire a un' attitudine soggettiva e non può essere generalizzato né esteso al futuro. Dall'abitudine deriva poi la credenza, cioè la tendenza  a considerare esistenti determinare realtà, ad esempio del mondo esterno (la sostanza materiale) e dell'io (sostanza spirituale). Anche per l'idea di sostanza si può osservare quanto rilevato a proposito dell'idea di causa: essa è arbitraria e priva di valore assoluto perché risiede nell'inclinazione del soggetto a unificare le varie impressioni che si presentano regolarmente connesse nell'esperienza, riferendole a un ipotetico fondamento sostanziale. 
Per ciò che riguarda la dimensione etica, Hume è convinto che non esistono valori assoluti cui fare riferimento e che la morale debba poggiare sul criterio empirico dell' utilità sociale. Infatti - come stabilisce la cosiddetta "legge di Hume"- non è possibile dedurre il piano del dover essere, cioè delle prescrizioni, da quello dell'essere, cioè dal piano descritto dell'esperienza contingente, in cui si può valutare l'utilità di determinati comportamenti. Ciò non implica una dissoluzione della morale, in quanto Hume ammette l'esistenza di un <senso morale> comune a tutti gli uomini che garantisce la possibilità di individuare principi etici condivisibili.  

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