lunedì 23 marzo 2020

Freud

PREMESSA: 
Sigmund Freud è definito come il padre della psicoanalisi, essa rappresenta la terza grande rivoluzione della storia occidentale. Freud, all'alba del Novecento, trasforma radicalmente l'immagine dell'io, della coscienza e della personalità in cui l'uomo si era rispecchiato per secoli e rivela l'esistenza di una zona buia e impenetrabile alla ragione: l'inconscio. 
Il lavoro condotto nel reparto di malattie nervose dell'ospedale di Vienna porta il giovane Freud s interessarsi ben presto ai casi di isteria. Il termine, derivato dal vocabolario greco "hystéra", utero, designa uno stato patologico della psiche, che si manifesta con fenomeno di somatizzazione, cioè di trasposizione sul corpo di disturbi psichici ,con sintomi a carico dei vari apparati. Ai tempi di Freud si pensava che fosse una malattia di tipo organico e che, come indicato dalla stessa etimologia del nome, riguardasse solo le donne. Grazie a Charcot, un esperto in materia  che lavorava nell'ospedale La Salpêtrière di Parigi, lì Freud approfondì il metodo dell'ipnosi, ce aveva già avuto modo di apprendere frequentando il medico Breuer, il quale curava l'isteria mediante tale tecnica. Tra Breuer e Freud nasce un rapporto di profonda amicizia, diventando per Freud un punto di riferimento molto importante. Attraverso Breuer, riesce a apprendere i dettagli più stimolati del caso di Anna O., determinante per le sue successive scoperte. Anna O. è una giovane donna affascinante e intelligente, affetta da una strana forma di isteria con vari gravi sintomi. Breuer aveva scoperto, sottoponendo la paziente a ipnosi, una pratica che induce nel soggetto uno stato psicofisico simile al sonno, diminuendo la capacità critica e aumentando la suggestionabilità, che quando era bambina aveva visto bere in un bicchiere il cane della sua governante, verso la quale nutriva sentimenti di odio, provando grande ripugnanza, questo episodio era stato dimenticato da Anna. L'ipnosi, dunque faceva affiorare circostanza recondite della vita individuale, che si svuotavano delle energie negative che si erano accumulate per la mancanza di uno sfogo adeguato. Quest'ultimo, reso possibile dal ricordo degli eventi, anche se differito nel tempo, consentiva l'espressione degli impulsi inibiti del passato, permettendo parallelamente un miglioramento della situazione clinica del paziente. Si trattava di un metodo che, proprio perché consentiva una liberazione delle energie psichiche rimaste bloccate, fu definito "catartico". 
L'utilizzo di tale metodo rappresenta una tappa fondamentale nella formazione di Freud. E' nella fase di sperimentazione , caratterizzata dal trattamento con l'ipnosi dei casi di isteria che Freud può constatare la connessione tra i sintomi del paziente e determinati fatti, dimenticati, della sua vita passata: questa scoperta condurrà all'intuizione del concetto dell'inconscio.       

lunedì 27 maggio 2019

IL PROBLEMA ESTETICO NELLA CRITICAA DEL GIUDIZIO: 
( in che modo posso cogliere la bellezza e la finalità delle cose?)

Questo problema viene affrontato nella terzo critica, in cui Kant analizza il "sentimento", che egli considera intermedio tra l'intelletto e la ragione e che identifica con la facoltà del giudizio; è attraverso esso che l'uomo coglie la bellezza delle cose e fa esperienza della finalità nel reale. L'argomento di Kant inizia con l'importante distinzione tra i giudizi dell'intelletto e quelli del sentimento: i primi sono giudizi determinanti, in quanto, unificando il molteplice attraverso le categorie dell'intelletto, "determinano" l'oggetto fenomenico; i secondi sono giudizi riflettenti, che cioè si limitano a "riflettere" sull'oggetto  già costituito. I giudizi riflettenti a loro volta possono essere di due tipi: da un lato ci sono i GIUDIZI ESTETICI, che identificano il bello con ciò che piace universalmente; dall'altro i GIUDIZI TELEOLOGICI, che, riflettendo sulla natura colgono un ordine finalistico rispondente agli interessi di noi uomini. La prima parte della critica del giudizio è dedicata all'analisi del giudizio "estetico", e si sofferma sui concetti di bello e di sublime. Il giudizio estetico è puramente contemplativo e disinteressato: non riguarda l'oggetto in sé , bensì la sua rappresentazione e il piacere che suscita. La pretesa di universalità dei giudizi di giusto risiede nella comune struttura mentale degli uomini, cioè nelle condizioni a priori di tali giudizi: in tutti i soggetti , infatti, esiste un <senso comune> che permette di cogliere l'accordo sussistente tra l'immagine della cosa e le esigenze di unità e finalità. In tale accordo e armonia consiste la bellezza, che dunque non appartiene alla cosa ma al soggetto. 
A differenza del bello, che riguarda la forma dell'oggetto e quindi la sua limitatezza, il sublime si trova in qualcosa di indefinito e privo di forma ed esprime il senso di ammirazione che proviamo di fronte alla straordinaria grandezza o potenza della natura. Esso suscita sentimenti ambivalenti: da una lato la percezione della finitezza e dell'impotenza dell'uomo di fronte all'immensità dell'universo, dall'altro la consapevolezza della grandezza spirituale dell'uomo, in grado di elevarsi al di sopra del sensibile. Attraverso l'esperienza del sublime l'essere umano riconosce  un'infinità più profonda che è dentro si sé ed è caratterizzata dalla presenza della ragione e dalla legge morale. 
L'ultima riflessione della Critica del giudizio è dedicata al giudizio teleologico, il quale coglie anche nella natura la presenza di scopi e finalità. Ma si tratta solo di un'esigenza propria dell'uomo, che lo porta a ricercare le cause finali dei fenomeni naturali e che sfocia in un'inevitabile visione teologica. L'uomo immagina infatti un creatore che orienta gli organismi viventi verso il proprio bene. La teleologia rimane, però, un'"esigenza" e non rappresenta una conoscenza oggettiva: ess, infatti, è il frutto di un giudizio riflettente, che, a differenza dei giudizi determinanti, possiede un valore unicamente "regolativo".        
IL PROBLEMA DELLA  MORALE NELLA CRITICA DELLA RAGION PRATICA:

 Secondo il filosofo, il criterio dell'azione risiede nell'uomo e, in particolare, in una legge morale iscritta  nel suo animo quale < fatto della ragione> incondizionato e universale, che s'impone come dovere. Distinguendo tra imperativi ipotetici e imperativi categorici, Kant sostiene che la morale si fonda solo e unicamente su quest'ultimi. L'etica Kantiana pertanto, si configura come un'etica formale, in quanto non prescrive comportamenti particolari, bensì solo la forma delle azioni morali che, per essere tali, devono corrispondere al principio di universalizzazione, secondo il quale un'azione si può definire morale se possiamo volere che essa divenga una norma del comportamento di tutti gli uomini, Kant, poi, ampia tale principio attraverso le tre celebri formulazioni dell'imperativo categorico: 1) agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale; 2) Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine mai semplicemente come mezzo. 3) agisci in modo tale che la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice. 
Una conseguenza importante della fondazione della morale sulla ragione è il fatto che perfino la religione ne risulta condizionata. Le principali credenze religiose, infatti, cioè l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima, coincidono in definitiva con i postulati della ragion pratica, che inseriscono alla morale come condizioni della sua stessa esistenza e pensabilità. Si deve infatti un dio, intelligente e onnipotente, grazie a cui si piò pensare che il sommo bene ricercato nella vita morale e dato dall' unione di felicità e virtù sia realizzabile; allo stesso modo, dal momento che il sommo bene non è conseguibile entro i limiti della vita terrena, occorre postulare una vita dopo la morte in cui sia possibile progredire verso di esso. Dio e l'anima non sono oggetto di dimostrazione, ma rappresentano una ragionevole speranza per l'uomo. In ciò consiste il "primato" della ragion pratica rispetto alla ragion pura: sul piano pratico la ragione ammette proposizioni che sarebbero inammissibili dal punto di vista teoretico.        

lunedì 13 maggio 2019

IL PROBLEMA DELLA CONOSCENZA NELLA CRITICA DELLA RAGION PURA:

I GIUDIZI DELLA SCIENZA E LA "RIVOLUZIONE COPERNICANA"

Nella critica della ragion pura si afferma che occorre condurre un'analisi sui fondamenti della conoscenza al fine di appurare, quali sono le condizioni di possibilità della scienza e per capire che è possibile una metafisica come scienza, a questo scopo si analizzano le proposizioni della scienza(i giudizi).
Inoltre si sostiene che: 
  •  i giudizi si distinguono in tre tipologie:                                                                                       1) analitici, in essi il predicato esplica solo il contenuto del soggetto; possiedono universalità e necessità ma non accrescono il potere.                                                                                         2) sintetici a posteriori, in essi il predicato aggiunge novità al soggetto; accrescono il sapere ma sono particolari e contingenti.                                                                                                       3) sintetici a priori; accrescono il sapere(essendo sintetici); sono dotati di universalità e necessità (essendo a priori).                                                               
  • nei giudizi sintetici a priori possiamo distinguere:                                                                        1) L'aspetto materiale quindi le impressioni sensibili che il soggetto riceve passivamente dall'esperienza (a posteriori).                                                                                                        2) la modalità (a priori) con cui la mente ordina attivamente le impressioni. Entrambi li possiamo trovare nella rivoluzione copernicana in cui viene detto che non è la mente a doversi adeguare alla realtà, ma ala realtà a doversi adeguare alle modalità conoscitive del soggetto.

LIMITI E POSSIBILITÀ DELLA CONOSCENZA 



La dottrina degli elementi è suddivisa in Estetica trascendentale e Logica trascendentale. L'estetica trascendentale studia la conoscenza sensibile la quale è passiva e attiva al tempo stesso, infatti riceve dall'esperienza i dati percettivi e li organizza attraverso due forme a priori: 1) spazio; la forma del senso esterno -- 2) tempo; la forma del senso interno. 
La logica trascendentale è suddivisa a sua volta in analitica trascendentale e dialettica trascendentale. L'analitica trscendentale studia la facoltà dell'intelletto, consentendo di unificare le intuizioni sensibili sotto le 12 categorie. La legittimità della loro applicazione è giustificata cn la deduzione trascendentale, secondo cui  tutto il processo conoscitivo è fondato sull'io penso, il legislatore della natura, intesa come realt fenomenica distinta dalle realtà noumenica. 
La dialettica trascendentale studia la ragione cerca di superare i limiti dell'esperienza attrverso: 
1) L'unificazione dei dati del senso interno → idea dell'anima 
2) l'unificazione dei dati del senso esterno  → idea del mondo 
3)  l'unificazione dei dati del senso interno ed esterno  → idea di dio 

sabato 20 aprile 2019

HUME E GLI ESITI SCETTICI DELL'EMPIRISMO

Lo scozzese David Hume, muovendo dalla prospettiva empirista, afferma che tutta la nostra conoscenza si basa su impressioni (percezioni vive e forti) e idee (immagini illanguidite delle impressioni), che il nostro intelletto unisce in configurazioni più ampie e complesse in virtù della memoria e dell'immaginazione. Quest'ultima non è totalmente libera, in quanto procede secondo il principio di associazione che, a sua volta, agisce sulla base di tre criteri: somiglianza, contiguità e causalità. La nostra mente è portata d questa <dolce forza> ad associare le idee che si presentano simili (ad esempio il ritratto e l'originale), o legate da un nesso causa effetto ( es. l'albero bruciato e il fuoco).
 Le idee che ne derivano sono idee complesse e in esse consiste tutto il nostro sapere. Quanto il grado di certezza di un sapere così costruito, Hume ritiene che, mentre nel caso dell'algebra e dell'aritmetica ( che riguardano relazione tra idee) si raggiungono verità assolutamente certe (perché costruite a priori), per quanto riguarda le conoscenze empiriche (che riguardano dati di fatto) dobbiamo ritenerle soltanto probabili. 
A partire da tali argomentazioni Hume procede a criticare il concetto di causa. Secondo lui la causalità non ha un valore oggettivo, ma è frutto della nostra abitudine (soggettiva) a collegare un fenomeno A (ad esempio, il fuoco) a un fenomeno B (la combustione). In realtà l'esperienza attesa soltanto la contiguità e successione di tali eventi, non la necessità del loro legame causale. Quest'ultimo è dunque da attribuire a un' attitudine soggettiva e non può essere generalizzato né esteso al futuro. Dall'abitudine deriva poi la credenza, cioè la tendenza  a considerare esistenti determinare realtà, ad esempio del mondo esterno (la sostanza materiale) e dell'io (sostanza spirituale). Anche per l'idea di sostanza si può osservare quanto rilevato a proposito dell'idea di causa: essa è arbitraria e priva di valore assoluto perché risiede nell'inclinazione del soggetto a unificare le varie impressioni che si presentano regolarmente connesse nell'esperienza, riferendole a un ipotetico fondamento sostanziale. 
Per ciò che riguarda la dimensione etica, Hume è convinto che non esistono valori assoluti cui fare riferimento e che la morale debba poggiare sul criterio empirico dell' utilità sociale. Infatti - come stabilisce la cosiddetta "legge di Hume"- non è possibile dedurre il piano del dover essere, cioè delle prescrizioni, da quello dell'essere, cioè dal piano descritto dell'esperienza contingente, in cui si può valutare l'utilità di determinati comportamenti. Ciò non implica una dissoluzione della morale, in quanto Hume ammette l'esistenza di un <senso morale> comune a tutti gli uomini che garantisce la possibilità di individuare principi etici condivisibili.  
BERKELEY. L'IMMATERIALISMO

Spingendo l'empirismo di Locke ai suoi estremi, il vescovo anglicano George Berkley giunge a sostenere che, se vogliamo essere coerenti con l'affermazione che la nostra conoscenza si basa sull'esperienza e risiede essenzialmente nelle idee che ne derivano, dobbiamo ammettere che le cose non esistono fuori di noi, ma nella mente di chi le percepisce. Da questa convinzione deriva la celebre formula esse est percipi (l'esistenza delle cose è nel loro essere percepite). 
Se Locke aveva ritenuto inconoscibile la sostanza, Berkeley giunge a negare l'esistenza della sostanza corporea: secondo lui non esiste la materia intesa come causa delle idee(immaterialismo). Tuttavia, le cose non si dissolvono quando sono percepite, perché permangono nella mente di Dio che le pensa continuamente. In questo modo è garantita la validità della scienza che rispecchia l'ordine e la successione delle idee nella mente divina.  

sabato 30 marzo 2019

Locke: la concezione dello Stato e l'affermazione della tolleranza

Secondo Locke- che è considerato uno dei principali teorici del pensiero liberale e democratico moderno- il potere politico si fonda sul consenso dei cittadini, da cui deriva il contratto sociale alla base della formazione della società civile e dello stato. A differenza di Hobbes, che giungeva a esiti assolutistici, Locke riconosce che il contratto deve essere stipulato tra i cittadini e il sovrano, il quale ha il compito di tutelare i diritti fondamentali e inviolabili di ciascuno di essi. Tali diritti naturali esistono già nello stato di natura, che Locke non considera come condizione di guerra di tutti contro tutti, bensì come una dimensione in cui gli uomini sono illuminati da una legge naturale di carattere razionale, che li porta a godere del diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà.

 È per evitare abusi e degenerazioni che gli uomini decidono di costituire le società civile stipulando il contratto sociale, il quale implica due patti: con il patto di unione gli individui si riuniscono in società; con il patto di sottomissione i cittadini si assoggettano a un governo sovrano, che ha appunto come suo obiettivo primario la salvaguardia dei diritti naturali dei singoli. per quanto riguarda le prerogative del potere politico, Locke le chiarisce nella lettera sulla tolleranza , sottolineando la necessità della distinzione tra sfera politica e sfera religiosa, riconoscendo piena libertà di culto a tutte le religioni ed auspicando il divieto per lo stato di imporre con la forza una fede particolare. 
Locke afferma che lo Stato è fondato sul consenso dei cittadini, governa in modo non arbitrario,  e prevede la separazione dei potere legislativo da quello esecutivo, che ha lo scopo di evitare il dispotismo. 
Un'altra affermazione di Locke, è quella che afferma che occorre tenere distinti due ambiti: quello politico e quello religioso. L'ambito politico è finalizzato a fare le leggi e a farle rispettare. In esso vale il principio della tolleranza religiosa, fondata sul fatto che nessuna religione è superiore alle altre e la fede non può essere impostata con la forza. L'ambito religioso  è finalizzato a sodisfare i bisogni spirituali, per cui la chiesa è una società libera e volontaria. 
Al potere  politico, infatti, non competere la "cura delle anime" ma l'elaborazione delle leggi e il compito di farle osservare.