lunedì 27 maggio 2019

IL PROBLEMA DELLA  MORALE NELLA CRITICA DELLA RAGION PRATICA:

 Secondo il filosofo, il criterio dell'azione risiede nell'uomo e, in particolare, in una legge morale iscritta  nel suo animo quale < fatto della ragione> incondizionato e universale, che s'impone come dovere. Distinguendo tra imperativi ipotetici e imperativi categorici, Kant sostiene che la morale si fonda solo e unicamente su quest'ultimi. L'etica Kantiana pertanto, si configura come un'etica formale, in quanto non prescrive comportamenti particolari, bensì solo la forma delle azioni morali che, per essere tali, devono corrispondere al principio di universalizzazione, secondo il quale un'azione si può definire morale se possiamo volere che essa divenga una norma del comportamento di tutti gli uomini, Kant, poi, ampia tale principio attraverso le tre celebri formulazioni dell'imperativo categorico: 1) agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale; 2) Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine mai semplicemente come mezzo. 3) agisci in modo tale che la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice. 
Una conseguenza importante della fondazione della morale sulla ragione è il fatto che perfino la religione ne risulta condizionata. Le principali credenze religiose, infatti, cioè l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima, coincidono in definitiva con i postulati della ragion pratica, che inseriscono alla morale come condizioni della sua stessa esistenza e pensabilità. Si deve infatti un dio, intelligente e onnipotente, grazie a cui si piò pensare che il sommo bene ricercato nella vita morale e dato dall' unione di felicità e virtù sia realizzabile; allo stesso modo, dal momento che il sommo bene non è conseguibile entro i limiti della vita terrena, occorre postulare una vita dopo la morte in cui sia possibile progredire verso di esso. Dio e l'anima non sono oggetto di dimostrazione, ma rappresentano una ragionevole speranza per l'uomo. In ciò consiste il "primato" della ragion pratica rispetto alla ragion pura: sul piano pratico la ragione ammette proposizioni che sarebbero inammissibili dal punto di vista teoretico.        

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