lunedì 27 maggio 2019

IL PROBLEMA ESTETICO NELLA CRITICAA DEL GIUDIZIO: 
( in che modo posso cogliere la bellezza e la finalità delle cose?)

Questo problema viene affrontato nella terzo critica, in cui Kant analizza il "sentimento", che egli considera intermedio tra l'intelletto e la ragione e che identifica con la facoltà del giudizio; è attraverso esso che l'uomo coglie la bellezza delle cose e fa esperienza della finalità nel reale. L'argomento di Kant inizia con l'importante distinzione tra i giudizi dell'intelletto e quelli del sentimento: i primi sono giudizi determinanti, in quanto, unificando il molteplice attraverso le categorie dell'intelletto, "determinano" l'oggetto fenomenico; i secondi sono giudizi riflettenti, che cioè si limitano a "riflettere" sull'oggetto  già costituito. I giudizi riflettenti a loro volta possono essere di due tipi: da un lato ci sono i GIUDIZI ESTETICI, che identificano il bello con ciò che piace universalmente; dall'altro i GIUDIZI TELEOLOGICI, che, riflettendo sulla natura colgono un ordine finalistico rispondente agli interessi di noi uomini. La prima parte della critica del giudizio è dedicata all'analisi del giudizio "estetico", e si sofferma sui concetti di bello e di sublime. Il giudizio estetico è puramente contemplativo e disinteressato: non riguarda l'oggetto in sé , bensì la sua rappresentazione e il piacere che suscita. La pretesa di universalità dei giudizi di giusto risiede nella comune struttura mentale degli uomini, cioè nelle condizioni a priori di tali giudizi: in tutti i soggetti , infatti, esiste un <senso comune> che permette di cogliere l'accordo sussistente tra l'immagine della cosa e le esigenze di unità e finalità. In tale accordo e armonia consiste la bellezza, che dunque non appartiene alla cosa ma al soggetto. 
A differenza del bello, che riguarda la forma dell'oggetto e quindi la sua limitatezza, il sublime si trova in qualcosa di indefinito e privo di forma ed esprime il senso di ammirazione che proviamo di fronte alla straordinaria grandezza o potenza della natura. Esso suscita sentimenti ambivalenti: da una lato la percezione della finitezza e dell'impotenza dell'uomo di fronte all'immensità dell'universo, dall'altro la consapevolezza della grandezza spirituale dell'uomo, in grado di elevarsi al di sopra del sensibile. Attraverso l'esperienza del sublime l'essere umano riconosce  un'infinità più profonda che è dentro si sé ed è caratterizzata dalla presenza della ragione e dalla legge morale. 
L'ultima riflessione della Critica del giudizio è dedicata al giudizio teleologico, il quale coglie anche nella natura la presenza di scopi e finalità. Ma si tratta solo di un'esigenza propria dell'uomo, che lo porta a ricercare le cause finali dei fenomeni naturali e che sfocia in un'inevitabile visione teologica. L'uomo immagina infatti un creatore che orienta gli organismi viventi verso il proprio bene. La teleologia rimane, però, un'"esigenza" e non rappresenta una conoscenza oggettiva: ess, infatti, è il frutto di un giudizio riflettente, che, a differenza dei giudizi determinanti, possiede un valore unicamente "regolativo".        

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